venerdì 27 aprile 2018

Fantasy a confronto

Si può sostenere che i capisaldi del fantasy moderno siano essenzialmente due opere, differenti tra loro ma simili per molti aspetti. La prima è, ovviamente, “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien. La seconda, invece, “La storia infinita” di Michael Ende. “Il Signore degli Anelli” fu pubblicato in tre volumi tra il 1954 e il 1955 ed è il seguito de “Lo Hobbit”, richiesto a Tolkien dal suo stesso editore. Il romanzo nasce dalla passione dell’autore per la filologia; egli stesso dice nelle sue lettere che inventò i popoli dopo aver inventato la lingua che essi parlavano.
L’importanza per il genere di quest’opera è che essa traccia con precisione le linee in cui ci si deve muovere per costruire il cosiddetto High Fantasy, o Fantasy Classico, nel quale ci sono precisi topoi: una netta dicotomia tra bene e male, e quindi un male rappresentato da un Signore Oscuro, un individuo che incarna la più pura malvagità; una ricerca, la cosiddetta quest; un eroe spesso riluttante; un oggetto magico; un saggio mentore. Di solito l’ambientazione dell’high fantasy è medievaleggiante e la magia ha un ruolo cruciale per la risoluzione del conflitto.
“Il Signore degli Anelli” segue pedissequamente lo schema del Viaggio dell’Eroe di Vogler, di cui ci stiamo occupando in questo blog da varie settimane. Frodo è l’eroe riluttante, Samvise Gangee la spalla, Gandalf il mentore, Sauron l’antagonista per antonomasia e via dicendo. Per alcuni aspetti, l’opera di Tolkien anticipa già la grande differenza che porta “La storia Infinita”.
“La storia Infinita” è un romanzo di Ende del 1979, a cui ha fatto seguito il celeberrimo film di Wolfang Petersen che, tuttavia, snatura di molto il senso della storia.
La differenza più netta con “Il Signore degli Anelli” è ravvisabile in questo: mentre nell’opera di Tolkien il male è rappresentato da un’entità esterna (Sauron) e solo alla fine Frodo ha un piccolo scontro con la sua coscienza, in Ende il vero nemico si nasconde all’interno dei protagonisti stessi. Infatti è contro la propria debolezza che Atreiu, ma ancora di più Bastiano nella seconda parte del romanzo, devono prevalentemente lottare.
Da “La storia Infinita” prende il via il romanzo fantastico di formazione, rivolto prevalentemente ai ragazzi ma perfettamente godibile anche dagli adulti, di cui uno degli esempi di maggiore successo degli ultimi anni è forse proprio la saga di “Harry Potter”. Sebbene nei romanzi della Rowling ci sia un cattivo (Voldemort) in realtà il protagonista dovrà lottare sopratutto contro se stesso nel suo percorso di crescita dall’infanzia all’età adulta.
Da questi due capisaldi il fantasy moderno si è scisso in moltissimi sottogeneri che esamineremo nel prossimo post, tenendo conto che non abbiamo ancora citato, per esempio, Robert E. Howard e i suoi eroi Sword&Sorcery.

venerdì 20 aprile 2018

Lo Shapeshifter, questo sconosciuto

L’Archetipo dello Shapeshifter è il personaggio Mutaforma che nella mitologia greca era inteso in senso letterale: Proteo, Zeus, Atena e altri Dei mutavano spesso le loro sembianze all’interno dei racconti dei miti per trarre in inganno l’Eroe. Nelle favole e nelle legende ritornano ancora personaggi come Merlino, Odino, streghe, maghe e fattucchiere assortite.
Il ruolo di questo Archetipo, pur facendo parte della squadra dei cattivi, non è quello di uccidere l’Eroe, ma metterlo in difficoltà giocando con i suoi sentimenti e illudendo i suoi sensi.
La metafora che si nasconde dietro il Mutaforma/Shapeshifter è quella del personaggio che inganna e confonde l’Eroe ostacolandolo nel suo viaggio per compiere l’impresa.
Nel cinema, lo Shapeshifter è spesso rappresentato dal personaggio della femme fatale, la donna tentatrice che seduce e inganna, tipico dei noir e dei polizieschi; ovviamente questa maschera può essere indossata sia da un personaggio femminile che maschile.
Una Shapeshifter che viene facilmente ricordata è Jessica Rabbit nel film cartone animato “Chi ha incastrato Roger Rabbit”; una donna sexy, provocante, che appare malefica e opportunista ma che in realtà vuole solo salvare il marito di cui è molto innamorata. 
Nella tragedia classica troviamo il personaggio di Jago che è insieme Ombra e Shapeshifter. Egli inganna Otello, lo confonde fingendosi suo amico al solo scopo di distruggerlo e avere Desdemona per sé.
Non mancano gli esempi anche nella letteratura classica, con il personaggio di Salomè di Oscar Wild, e in quella contemporanea: il professor Raptor e Codaliscia, oppure Piton (un cattivo rivelatosi buono) nella saga di “Harry Potter”; il falso Mentore Sir Leigh Teabing de “Il Codice Da Vinci”; Grima Vermilinguo e Gollum de “Il Signore degli Anelli. Insomma, lo Shapeshifter è una maschera che, indossata da qualunque personaggio e magari anche contemporaneamente a un’altra maschera, arricchisce la storia di colpi di scena, aumenta la suspense e dà all’Eroe un’ulteriore occasione di crescita psicologica maturando cambiamenti e nuove strategie, perché si trova costretto a esaminare, riconoscere, gestire e superare l’inganno per giungere vittorioso al compimento dell’impresa.

sabato 14 aprile 2018

Alle origini del fantastico

Quando parliamo di narrativa di genere, forse la prima cosa che viene in mente è il fantastico; questo perché la nostra mente tende a scindere i libri che parlano di cose realistiche da quelli che invece prediligono la più sfrenata fantasia. 
Nel saggio “La letteratura fantastica” Zvetan Todorov sostiene che il fantastico sia la reazione di un individuo che conosce solo le leggi naturali di fronte a un evento in apparenza sovrannaturale. In effetti, se ci si pensa, il fantastico è stato uno dei primi generi letterari mai scritti. 
Si dice che il libro fantasy per eccellenza sia la Bibbia, ma si può partire da molto più lontano, cioè dai miti e le leggende che hanno accompagnato l’umanità sin dalla sua nascita. 
Il primo componimento scritto in tal senso è l’epopea di Gilgamesh, che risale all’incirca al 2500 a.C. Si tratta di un ciclo di poemi epici che narrano delle imprese di un re babilonese in cui intervengono spesso le divinità. 
 Successivi di più di mille anni a Gilgamesh sono i poemi omerici, Illiade e Odissea, a cui fa poi seguito, ovviamente, l’Eneide di Virgilio. 
 Quando il mondo muta e gli antichi dèi pagani vengono sostituiti dal cristianesimo, non scompaiono comunque la superstizione e la necessità di trovare un qualche tipo di spiegazione a fenomeni apparentemente inspiegabili. Ecco che il Medioevo ci restituisce due celebri saghe in cui il fantastico e la magia, uniti ai nuovi principi di cristianità e agli ideali cavallereschi, costituiscono il fulcro della narrazione. Si tratta del ciclo Bretone e del ciclo Carolingio. 
Il ciclo Bretone narra delle gesta di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, mentre il ciclo Carolingio si concentra sulle gesta dei cavalieri di Carlo Magno impegnati nella lotta contro gli Arabi. Entrambi i cicli traggono origine dal componimenti orali che i bardi si passavano di generazione in generazione, ma è possibile citare alcuni autori che misero le canzoni per iscritto: Goffredo di Monmouth, un monaco del XII secolo, il celeberrimo bardo francese Chrétyen de Troyes e poi, un paio di secoli dopo, l’inglese Thomas Malory. 
L’epica italiana del Rinascimento pesca a piene mani da questi componimenti ed ecco che vengono composti capolavori immortali come “L’Orlando Innamorato” di Boiardo e “L’Orlando Furioso” di Ariosto. 
Bisogna comunque arrivare al XIX° secolo per la nascita del romanzo fantastico come lo intendiamo oggi. 
Si sostiene che il punto d’inizio sia “Frankestein” di Mary Shelley, ma “Frankestein” rientra di più in una sorta di sottogenere che è il Romanzo Gotico. 
Nei prossimi post tracceremo quelli che secondo noi sono i punti cardinali del fantasy, analizzeremo i vari sottogeneri e poi arriveremo a dare una panoramica dello scenario moderno.

venerdì 6 aprile 2018

Che mondo sarebbe senza i cattivi?

Non può esserci un Eroe senza un Cattivo. Non può esserci il Bene senza il Male. Non può esserci atto eroico senza un’azione malvagia da contrastare. Non può esserci una storia senza l’Archetipo dell’Ombra. In ogni buon racconto che si rispetti, il ruolo negativo dell’Ombra è affidato a personaggi definiti cattivi, antagonisti o nemici. C’è differenza tra queste definizioni. Solitamente, i cattivi e i nemici puntano all’annientamento dell’Eroe, alla sua morte. Il Cattivo e l’Eroe si scontrano perché hanno obiettivi opposti in assoluto conflitto; l’Antagonista, invece, può avere lo stesso scopo dell’Eroe ma cerca di raggiungerlo in modo diverso disapprovando quello dell’Eroe. Da un punto di vista psicologico, l’Ombra è il lato oscuro dell’Eroe, quella negativa popolata da paure, sentimenti malvagi ed egoisti (per esempio ne “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” di Robert Louis Balfor Stevenson); per questo la sua presenza è indispensabile. L’Eroe è chiamato, infatti, ad affrontare e sconfiggere il suo lato oscuro, la sua Ombra, tirando fuori il meglio di sé, anche a costo della vita. Solo quando un Cattivo è ben costruito, costringendo l’Eroe a essere all’altezza della sfida, la storia può dirsi veramente valida.
Non bisogna sottovalutare l’errore, che spesso si commette nel caratterizzare l’Ombra, di banalizzare la figura del Cattivo stereotipandola e riducendola a una semplice caricatura. Un Cattivo in quanto tale, solo perché nato così, è poco credibile; adatto magari alle favole per bambini. Un’Ombra ben costruita ha dei lati umani, delle debolezze, che spieghino il perché della sua scelta, del suo voler essere il Cattivo, che è convinto di essere nel giusto; dal suo punto di vista, infatti, è l’Eroe il nemico che vuole impedirgli di conseguire il suo bene, il suo scopo. L’esempio più riuscito di sempre è Dart Fener di Guerre Stellari. Ma ce ne sono molti altri nella letteratura di ogni tempo: Voldemort in “Harry Potter” di J. K. Rowling, O’Brien in “1984” di G. Orwell, Capitan Uncino nella serie di “Peter Pan” di J. M. Barrie, Uriah Heep nel romanzo “David Copperfield” di C. Dickens. Un’Ombra può addirittura riscattarsi e trasformarsi in un personaggio positivo proprio grazie a queste sue debolezze umane: per esempio il personaggio dell’Innominato ne “I Promessi Sposi”. Insomma, lo spessore psicologico dell’Ombra è da costruire tanto quanto quello dell’Eroe, forse anche di più. È l’Ombra il vero motore della storia. Se non ci fosse un Cattivo pronto a compiere un’azione malvagia, un torto da raddrizzare, a che servirebbe avere un Eroe? Cosa ci sarebbe da raccontare senza un equilibrio rotto (da un Cattivo) da ripristinare?
Bisogna ricordare, però, che l’Ombra è una funzione, una maschera, che può essere indossata da qualunque personaggio, per esempio il Mentore: basti pensare a “Il silenzio degli innocenti” di Thomas Harris.
Addirittura, l’Ombra può essere insita nell’Eroe stesso: quando il protagonista è lacerato da dubbi o sensi di colpa e si comporta in maniera autodistruttiva manifestando un desiderio di morte, come per esempio ne “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde.
L’Ombra, il Male, è insito nell’essere umano tanto quanto il Bene. È la lotta infinita tra queste due forze che l’uomo continua a raccontare da millenni, un modo come un altro per esorcizzare la paura che prima o poi non sia il Bene a trionfare, per spronare e suscitare il coraggio e la forza in nuovi, provvidenziali, Eroi.

To be continued...