venerdì 19 ottobre 2018

Sinossi o quarta di copertina?

Molto spesso, quando un autore invia il proprio manoscritto a una casa editrice per farlo valutare e magari anche pubblicare, deve allegare una sinossi. Alcuni sbuffano seccati perché non hanno voglia di spremersi le meningi per scrivere anche la sinossi. Ma come? Dopo tutta la fatica che ho fatto a scrivere il mio capolavoro devo anche scrivere la sinossi? 
Ebbene sì, è importante farlo. Soprattutto, però, è importante farlo bene. 
Partiamo dal principio, cos’è esattamente una sinossi? 
Il dizionario la definisce così: sinòssi s. f. [dal lat. tardo synopsis, gr. σύνοψις «sguardo d’insieme» (comp. di σύν «con, insieme» e ὄψις «vista»)]. – Compendio, esposizione sintetica e schematica di una materia, di una disciplina, di una scienza, di un periodo storico o letterario, ecc., fatta in modo che i dati si possano facilmente e rapidamente trovare o confrontare tra loro [...]
In pratica è un riassunto analitico, ovvero preciso e dettagliato, della storia raccontata dall’autore. All’interno non ci devono essere fronzoli o frasi a effetto nel tentativo di impressionare o incuriosire chi la legge, ma la semplice descrizione dei fatti e dei personaggi, e soprattutto deve raccontare il finale. L’editore che giudicherà il vostro romanzo ha bisogno di conoscere la struttura della trama, l’intreccio e il suo scioglimento, per capire se è valido oppure no, se è adatto alla sua linea editoriale o meno. Attraverso la sinossi, se fatta in modo corretto, l’editore capisce quali siano le capacità di scrittura dell’autore ed è invogliato a leggere anche il manoscritto. 
Attenzione però, non è necessario descrivere tutti i fatti e i personaggi del vostro romanzo, ma solo quelli principali e in modo riassuntivo, abbastanza da far capire lo svolgersi delle vicende e non troppo da annoiare. Nessun editore leggerebbe una sinossi di venti pagine! L’ideale sarebbe condensarla in una paginetta.
Viceversa, una quarta di copertina, che è destinata ai lettori che devono decide se acquistare o no il libro, non deve svelare nulla del finale, ma solo incuriosire, introdurre personaggi ed eventi creando suspense e attesa attraverso frasi ammiccanti che promettono grandi emozioni tra il detto e non detto. Una buona sinossi è il miglior biglietto da visita che possiate presentare, senza, pochi editori si prenderanno la briga di leggere un intero manoscritto.

venerdì 22 giugno 2018

Se dici horror dici... vampiro!

La creatura da romanzo horror più conosciuta è senza ombra di dubbio il vampiro e vale la pena di dedicarle un intero post, perché il vampiro non è un semplice mostro succhiasangue; incarna le più oscure paure dell’umanità, che è proprio ciò che il genere horror è chiamato a fare.
Uno dei primissimi vampiri della letteratura è Ruthven, di cui scrisse John William Polidori nel racconto “Il vampiro” nel 1819. Polidori era il medico personale di Lord Byron e una delle personalità presenti in quella famosa vacanza durante la quale Mary Shelley scrisse “Frankestein”.
Ruthven ha già quelle qualità che poi saranno proprie di Dracula, cioè una spiccata tendenza alla seduzione che serve ad attirare le sue vittime.
Il passo successivo è “Carmilla”, di Sheridan Le Fanu, 1872, in cui il vampiro diventa una donna bellisisma e seducente.
“Dracula” di Bram Stoker è un romanzo del 1897. La struttura narrativa di “Dracula” è particolarisisma, perché si tratta di un romanzo epistolare. Inoltre, è un romanzo accuratamente documentato, dato che Stoker fece tantissime ricerche sia storiografiche, sia antropologiche sia ambientali.
La figura del vampiro è innestata, come si sa, su quella di Vlad III di Valacchia, feroce principe della Valacchia vissuto nel XV° secolo, ma in realtà si pensa che Broker si sia ispirato a un fatto di presunto vampirismo avvenuto nell’Essex qualche anno prima.
Al pari di Ruthven e di Carmilla, Dracula è un potente seduttore. Egli, nascosto in una cassa, si reca in Inghilterra per trovare nuove vittime, e qui vampirizza prima la nobildonna Lucy Westerna e poi la sua migliore amica Mina Murray.
Il vampiro rappresenta il fascino del male al quale è difficile resistere.
Nei tempi moderni, la figura è stata ripresa e modificata fino ad approdare all’urban fantasy e al paranormal romance, a riprova che la qualità di seduttore è quella che più permea questo indiscusso protagonista dell’horror.
Tra le saghe più famose, ricordiamo senza ombra di dubbio i romanzi di Ann Rice, tra cui “Intervista col vampiro”, del 1976.

venerdì 15 giugno 2018

La sostanza del conflitto

Ci possono essere storie belle o brutte, con personaggi interessanti o stereotipati, si può raccontare bene o raccontare male, ma qual è la sostanza di una storia? Cos’è che la rende tangibile ai nostri occhi ma soprattutto al nostro cuore? Che cosa ci permette di identificarci con il protagonista tanto da emozionarci davanti alle sue vicende? Alcuni risponderebbero a questa domanda dicendo: ovvio, il linguaggio, la capacità dell’autore di trasmettere le emozioni attraverso le parole. Ebbene, il linguaggio è lo strumento, ma non la sostanza della storia. Quello che fa scattare l’interesse del lettore nei confronti di un romanzo è l’empatia con il protagonista. Al di là che si tratti di un personaggio eroico o di un cattivo per eccellenza, quello che irretisce il lettore è la possibilità di provare le stesse cose che prova lui, condividerle e poter dire: Sì, anche io mi sento così. Ovviamente non mi riferisco alle vicende o ai fatti narrati in quanto tali, ma alle emozioni e ai sentimenti che appartengono in modo universale al genere umano e che vengono vissuti e proposti attraverso situazioni potenzialmente reali, nelle quali il protagonista è chiamato a compiere delle scelte. 
Partiamo dall’inizio. Il protagonista, come tutti i personaggi, è solitamente un essere umano, o comunque un essere umanizzato, e come tale possiede una propria visione del sé, l’ego; una visione dei personaggi a lui più vicini, con cui ha relazioni personali; e una visione dell’ambiente esterno, il mondo e la società. Quando un essere umano compie delle azioni o delle scelte, lo fa in base alla visione soggettiva che ha di questi tre livelli della realtà, con lo scopo di ottenere ciò che desidera o che gli serve, con la minor fatica possibile. Se il protagonista deve prendere un aereo ma ha il terrore di volare, magari perché sopravvissuto a un disastro aereo, dovrà confrontarsi con le proprie paure, affronterà un conflitto di I° livello, un conflitto interiore. Se salendo su quell’aereo il protagonista sa che perderà per sempre la donna che ama, si troverà davanti a un conflitto personale, di II° livello. Terza ipotesi, se il protagonista scegliendo di salire su quell’aereo sfiderà tutte le convenzioni sociali che invece gli imporrebbero di restare a terra, allora affronterà un conflitto extrapersonale, di III° livello. Le conseguenze delle azioni compiute dal protagonista in ognuno di questi conflitti, non sempre rispecchieranno le sue aspettative, e questo genererà altri conflitti, in un crescendo narrativo in cui il protagonista dovrà mostrare al lettore quanto forte sia la sua motivazione, la sua capacità di correre dei rischi e mettersi in gioco per conseguire lo scopo prefissatosi. 
Insomma, il conflitto nasce dal divario tra le aspettative del protagonista rispetto all’azione compiuta e l’effettivo risultato conseguito, che dipende non solo dal protagonista ma dalla realtà a lui circostante. Un personaggio che si lamenta perché non riesce a conquistare il cuore della sua amata, a sconfiggere il cattivo che lo tormenta, ma poi non fa nulla, non si mette in gioco, non corre dei rischi per ottenere ciò che vuole è solo un noioso, irritante ipocrita. Allo stesso modo, se l’obiettivo su cui si accanisce il protagonista è poco significativo e non è così importante da cambiare o influenzare completamente la storia e il destino dell’eroe, allora il lettore non riuscirà a farsi coinvolgere, a sentire empatia nei suoi confronti. 
La domanda che sorge spontanea a questo punto è: Come fare per mostrare tutto questo al lettore? Come creare un personaggio empatico con cui identificarsi e creare un feeling? La risposta è più semplice di quanto non si pensi. È sufficiente immedesimarsi nel personaggio e porsi una semplice domanda: Se fossi io nei panni del mio personaggio, in quella situazione, cosa farei? Se vivessi la storia che voglio raccontare, che cosa accadrebbe alla mia vita se riuscissi o fallissi nel mio intento?
Uno scrittore non inventa niente, uno scrittore è un fedele reporter del genere umano, il suo compito è raccontare partendo da dentro verso fuori. Se non prova in prima persona le emozioni dei suoi personaggi, come può sperare che le provino i suoi lettori? L’unica fonte attendibile della capacità di emozionare il lettore sei proprio tu!

domenica 10 giugno 2018

Prima dell’horror c’era il romanzo gotico

Il precursore del moderno romanzo horror è il romanzo gotico. 
Si tratta di un genere sviluppatosi a partire dalla seconda metà del settecento, sopratutto a opera di scrittori anglosassoni. La caratteristica è quella di unire elementi romantici a elementi dell’orrore. L’ambientazione di solito è quella di lande spettrali, castelli diroccati e abbazie decadenti, che poi è il tipico paesaggio inglese e scozzese del XIX° secolo. 
Il primo romanzo gotico è “Il castello di Otranto”, di Horace Walpole, risalente al 1765. 
 La storia è quella della famiglia di Manfredi, principe di Otranto non per diritto bensì per casualità. Il suo primogenito, il malaticcio Corrado, dovrebbe sposarsi con Isabella, erede legittima del principato, ma un gigantesco elmo simile a quello della statua del leggendario principe Alfonso cala dal cielo e lo schiaccia. Manfredi decide allora di sposare egli stesso Isabella, anche se per fare ciò deve ripudiare sua moglie Ippolita. L'elemento gotico si limita alla presenza spettrale del principe Alfonso, che si palesa come una gigantesca armatura che terrorizza i servi del castello. Per il resto il romanzo si concentra sulla virtù delle donne della famiglia e sulla cattiveria di Manfredi, finendo per essere un racconto moraleggiante che risente tantissimo della sua epoca. 
Seguono a questo romanzo “Il monaco” del 1769, di Mathew J. Lewis; “L’italiano” di Ann Radclife, 1797; “Melmoth. L’uomo errante” di Charles Maturin, prozio di Oscar Wilde, datato 1820. 
Essendo romanzi della fine del ‘700, hanno la tipica struttura a cornice dell’epoca e, invero, non sono capolavori immortali della letteratura. 
L’unico che spicca un pochettino è “Il monaco”, che suscitò un tale scalpore all'epoca da costringere l'autore a pubblicarne una versione censurata appena due anni dopo. Ambientato in Spagna, narra della discesa nel peccato del padre Cappuccino Ambrosio, uomo incline alle passioni più violente e sfrenate che si ammanta della virtù della religione solo per vanità. Ci penserà la bella Matilda, la strega, a spingerlo lungo una via fatta di peccati sempre più efferati, fino a un terribile delitto incestuoso. L'aspetto gotico sta nelle cripte dei conventi e nei lugubri castelli tedeschi infestati da fantasmi. 
La vera svolta nel romanzo gotico arriva con “Frankestein” di Mary Godwin Shelley, 1818, che l’autrice scrisse durante una vacanza assieme al marito, il poeta Shelley, e Lord Byron e Polidori, autore del racconto “Il vampiro”. 
Il giovane Victor Frankstein (ricordiamo che il nome si riferisce al creatore, mentre la creatura viene semplicemente definita "mostro"), attraverso lo studio della filosofia naturale, cioé la chimica, riesce a dare la vita a una creatura che, tuttavia, è così brutta e deforme che Victor se ne pente immediatamente e la caccia. Il mostro, come un bambino, si ritrova a vagare per la natura e a imparare man mano tutto ciò che c'è da sapere. È quando gli umani cominceranno a scacciarlo a causa della sua fisionomia spaventevole che egli diventerà un assassino, ma non malvagio, semplicemente frustrato e deluso per la cattiveria subita, in primis dal suo creatore. 
“Frankstein” è intriso di romanticismo molto più dei suoi predecessori. Analizza la follia tutta umana di volersi sostituire a Dio nella creazione (infatti il sottotitolo è “Moderno Prometeo”, dall’idea del furto della scintilla divina) ed è anche considerato il primo romanzo fantascientifico, dato che teorizza la possibilità di dare la vita attraverso uno studio scientifico.

venerdì 1 giugno 2018

“C’era una volta...” il Narratore

Quando si inizia a strutturare un romanzo e a creare un progetto narrativo con tanto di scaletta e profilo dei personaggi (vero che lo fate?), spesso non si pensa al Narratore. Questa presenza data per scontata, è fondamentale: non ci può essere storia senza l’io narrante. Tutto ciò che non è dialogo o pensiero dei personaggi è voce narrante. Ci avevate mai pensato? Chi è che descrive un’azione, un luogo, un personaggio? Il Narratore, a cui l’Autore ha affidato il compito di raccontare la sua storia. La scelta del tipo di Narratore è fondamentale e implica un uso ben preciso del punto di vista con cui viene raccontata la storia. La forma più comune è quella del Narratore Extradiegetico o Eterodiegetico, ovvero Esterno e onnisciente. È quel narratore che non è coinvolto nelle vicende e che conosce tutta la storia, sa anche quello che non sanno i personaggi e può raccontare flashback, o anticipare azioni e fatti futuri. Solitamente racconta in terza persona. Questa scelta narrativa è sempre stata molto usata, già fin dal 1800, ecco alcuni esempi: “Madame Bovary” di Gustave Flaubert, 1856; “La lettera scarlatta” di Nathaniel Hawthorne, 1850; “I Malvoglia” di Giovanni Verga, 1881 ; “Il fu Mattia Pascal” di Luigi Pirandello, 1904; “La casa degli spiriti” di Isabel Allende, 1982; e molti, moltissimi altri.
Il Narratore onnisciente, però, non è solo esterno alla storia, ma può essere anche interno e coincidere con il protagonista o un altro personaggio, come per esempio nel romanzo “Amabili resti” di Alice Sebold, in cui la voce narrante onnisciente è la protagonista: una ragazzina assassinata il cui spirito assiste a tutte le vicende successive alla sua morte.
Il Narratore Autodiegetico o Omodiegetico è il narratore interno e protagonista della storia; è il personaggio principale (o il secondario) che racconta cosa gli accade. In questo, però, la narrazione degli eventi è limitata alla presenza del protagonista in scena. Usare questo tipo di Narratore vincola l’autore a raccontare solo ed esclusivamente da un unico punto di vista. Non è facile impostare un romanzo in prima persona senza cadere nella tentazione di inserire un Narratore onnisciente quando diventa difficile spiegare fatti e situazioni accaduti in assenza del protagonista. Un bellissimo esempio di Narratore in prima persona in stile epistolare è “Dracula” di Bram Stoker del 1897. Un esempio molto più recente è il romanzo di Chiara Gamberale del 2010 “Le luci nelle case degli altri” raccontato dalla protagonista, Mandorla, una ragazzina rimasta orfana e accolta dai condòmini del palazzo dove abita insieme alla madre.
Una variante davvero interessante è quella del Narratore interno multiplo, ovvero, quando la storia è raccontata a “più mani”. È molto usata quando si vuole dare voce ai diversi sentimenti di tutti personaggi che prendono parte a una storia, si possono usare più narratori che raccontano la stessa vicenda da diversi punti di vista. Non è facile raccogliere le fila di un unico discorso con tanti protagonisti narranti, quindi prima di scegliere questo tipo di struttura è meglio creare un progetto narrativo molto accurato.
Un esempio meraviglioso di questa tecnica è “Frankenstein” di Mary Shelly, 1823, che inizia con la narrazione in prima persona dello scienziato, il dottor Frankenstein, e prosegue alternandosi con la narrazione in prima persona della Creatura, alla fine i due filoni narrativi si riuniranno. Molto più recente è il romanzo del 2003 “La custode di mia sorella” di Jodi Picoult, dove le toccanti vicende vengono raccontate attraverso il punto di vista di tutti i membri della famiglia Fitzgerald.
Esiste anche la Narrazione in seconda persona, per la verità molto rara in narrativa, che cerca di nascondere e oscurare l’io narrativo, rivolgendosi direttamente al lettore, facendolo diventare il protagonista della narrazione.
Spesso, quando un autore si accinge a scrivere il proprio romanzo è portato a scegliere e usare in modo spontaneo il tipo di Narratore che gli è più congeniale, ed è sicuramente la cosa migliore da fare per un esordiente. Tenere le fila del punto di vista narrativo non è né banale né scontato, un improvviso cambio dell’io narrante è la prima cosa che salta all’occhio del lettore. Quindi fate molta attenzione se volete sperimentare nuovi punti di vista!

venerdì 25 maggio 2018

Fantasy: un mondo di sottogeneri

Oggigiorno, il genere fantasy si è scisso in una miriade di sottogeneri che a loro volta subiscono diverse contaminazioni che danno origine ad altri sottogeneri. 
Dal "Signore degli anelli" deriva l'high fantasy, che ha e ha avuto molti validi esponenti quali Terry Brooks, Robert Jordan, Brandon Sanderson, Robin Hobb... 
Esiste poi una nutritissima categoria di fantasy per ragazzi, il cui esempio più fulgido è probabilmente J.K. Rowling con "Harry Potter" ma che in realtà nasce, come abbiamo già detto l'altra volta, in parte da "La storia Infinita" di Michael Ende, ma in parte anche dalla serie de "Le Cronache di Narnia" di Lewis, romanzi degli anni '50 che avevano in sé dei chiarissimi richiami all'ideologia cristiana (uno su tutti, il leone Aslan che risorge dalla morte). 
Un altro autore importante, venuto prima di Tolkien, è Robert E. Howard. Morto giovanissimo, grazie ai suoi cicli di racconti pubblicati negli anni '30 su Weird Tales (sopratutto Conan il Barbaro), viene considerato il padre del moderno heroic fantasy o, per meglio dire, dello Sword&Sorcery. I protagonisti del genere sono eroi muscolosi, o più spesso antieroi, che combattono forze del male quali streghe, demoni e spiriti malvagi. 
 Dallo Sword&Sorcery e in contrapposizione all'high fantasy è nato il Low Fantasy, che a sua volta ha dato origine al Grimdark. Il Low Fantasy ha la caratteristica di svolgersi in un mondo inventato nel quale la magia non ha per nulla rilevanza, o comunque una rilevanza molto scarsa per l'evolversi della vicenda. Il Grimdark è un sottogenere che si sofferma sugli aspetti più realistici e brutali dell'umanità, di solito impegnata in guerre di stampo medievaleggiante: sangue e arti mozzati al limite dello splatter, ma anche sesso e bisogni primordiali. 
Il più noto esponente del genere oggigiorno è George R.R. Martin con la saga delle "Cronache del ghiaccio e del fuoco", ma altri nomi importanti sono, per esempio, Joe Abercrombie e Richard K. Morgan. 
 Dalla contaminazione con la fantascienza e il noir è poi nato l'Urban Fantasy, un tipo di fantasy che si svolge nelle nostre moderne città inserendo nei contesti urbani creature fantastiche quali vampiri, licantropi, angeli, streghe... 
Uno dei primissimi esempi è la serie TV "Buffy the Vampire Slayer", che narrava delle vicende di una cacciatrice di vampiri teenager che frequentava una high school americana. Da qui in poi è nata una fiorente letteratura che si rivolge in parte ai ragazzi, in parte agli adulti, e che ha subito anche diverse contaminazioni con il genere romance (tanto da dare vita a un altro sottogenere, il paranormal romance, di cui ci occuperemo nei post dedicati ai romanzi rosa). 
Infine, facciamo un piccolo accenno al NewWeird, un genere nato negli anni '90 che si caratterizza per la presenza di elementi fantasy come la magia mischiati con altri fantascientifici e horror ma, sopratutto, per l'abbandonarsi al bizzarro con creature e ambientazioni strane e originali. 
Il punto di partenza di questo genere, che comunque ha poi subito un'evoluzione, sono gli autori "weird" quali Lovercraft e Clark Aston Smith, i quali puntavano maggiormente su contaminazioni fantasy e horror e non avevano finalità sociali come invece il contenuto dei romanzi NewWeird
Da Lovercraft, Poe e Clark Aston Smith partiremo nel prossimo post per trattare il genere horror.

venerdì 18 maggio 2018

Due alberelli al Salone di Torino

Martedì siamo rientrate dal Salone del Libro di Torino e abbiamo riportato un bagaglio carico di diverse sensazioni. 
Da un lato, il Salone è sempre una festa. Come ci ha detto uno dei nostri amici con cui abbiamo avuto l’occasione di parlare in questi giorni, la cosa davvero importante è che la gente legga e, a giudicare dal grandissimo afflusso di pubblico, pare che di lettori ce ne siano molti. 
Il Salone fa sempre numeri da record, tanto è vero che sabato si è addirittura resa necessaria la chiusura dei tornelli. 
Confermiamo che di gente ce n’era una marea. Ci voleva mezz’ora solo per riuscire a bere un caffè e infilarsi in una delle sale incontri era praticamente impossibile a meno di avere un pass stampa. 
D’altro canto, ci duole aver notato una certa disorganizzazione logistica. Nessun posto dove sedersi, poche indicazioni, nessun wi-fi se non in sala stampa… 
Si tratta forse di piccolezze, ma sommate tutte assieme hanno reso più difficoltosa la fruizione del Salone. E per fortuna noi avevamo il pass, perciò ci siamo evitate il disagio delle file chilometriche di fronte alle biglietterie, aggravato (ma questo tutto sommato è giusto) dai controlli di sicurezza. 
Quello che davvero ci ha lasciate perplesse (e non solo a noi) è stata la disposizione degli stand. Dopo aver saltato la scorsa edizione, quest’anno i grandi editori sono tornati a Torino. La cosa è andata tutta a discapito dei piccoli editori indipendenti, che si sono visti relegare in angoli nascosti dietro alle colonne o, addirittura, in una tensostruttura esterna e mal segnalata che è stata chiamata “Padiglione 4”. 
In caso la situazione si ripeta il prossimo anno, la Regione Piemonte ha detto che rinuncerà al suo stand per fare largo agli altri, ma forse si potrebbe risolvere la cosa semplicemente riducendo lo spazio concesso a qualcuno o, magari, adibendo il nuovo padiglione 4 a tutte quelle aree d’incontro che hanno sottratto spazio gli altri padiglioni. 
Al di là di queste piccole polemiche (che pure vogliono essere costruttive) siamo state contente di conoscere nuovi editori indipendenti. Anche se a un occhio poco attento tutto può sembrare fermo, l’offerta culturale del nostro Paese è sempre più varia e articolata e per tanti editori fuffa (che, dobbiamo ammettere, esistono) ce ne sono altri che svolgono con competenza e passione il loro mestiere. 
Il Salone del Libro di Torino si è presentato ancora una volta come il Gotha dell’editoria italiana; l’importante è ricordare che i migliori non sono solo quelli con lo stand più bello, grande e sfavillante, ma anche quelli che nonostante il loro modesto banchetto sono in grado di produrre libri di alta qualità e valore.

venerdì 4 maggio 2018

Il Guardiano della Soglia

Nel compimento dell’impresa, l’Eroe incontra sempre degli ostacoli ben prima di fronteggiare il suo vero nemico, l’Ombra. Egli può imbattersi in una tempesta, in eventi sfortunati e personaggi ostili.
In particolare, però, può incontrare il Guardiano della Soglia. Questo Archetipo non è il Cattivo vero e proprio, ma il suo braccio destro, un Cattivo minore, per così dire, che ha il compito di ostacolare il cammino dell’Eroe, metterlo in difficoltà, ovvero, metterlo alla prova. Per esempio, nella mitologia classica, in particolare nell’Odissea, Ulisse durante il suo viaggio per tornare a casa naufraga sull’isola di Ogigia, abitata dalla bellissima ninfa Calipso, la quale si innamora di lui e lo trattiene per ben sette anni promettendogli il dono dell’immortalità se avesse acconsentito a rimanere con lei per sempre. Ulisse però non dimentica la sua missione, ovvero tornare a Itaca, e non cede alle tentazioni della Dea. Alla fine la sua tenacia e la sua incorruttibilità verranno premiate.
Altro esempio mitico di Guardiano della Soglia si trova nel famosissimo libro de “La Storia Infinita” dove l’Eroe Atreyu deve superare alcune prove per salvare l’Imperatrice Bambina e tutto il mondo di Fantàsia. La prima di queste prove è proprio la Porta delle Sfingi, che con il solo sguardo inceneriscono gli eroi il cui cuore non è puro abbastanza.
Spesso non c’è uno scontro diretto tra l’Eroe e il Guardiano. Infatti, l’Eroe impara a conoscere il Guardiano e i suoi stratagemmi e a usarli contro di lui; proprio come accade nella filosofia delle arti marziali.
Un Eroe maturo, che ha compiuto il suo percorso, prova compassione per questi nemici minori e li sconfigge senza distruggerli, non ne ha bisogno perché non sono una vera minaccia, dato che egli ha raggiunto un livello di consapevolezza e moralità tali da trascendere il Guardiano stesso. Un esempio di questo tipo è il personaggio di Malfoy nella fortunata serie di Harry Potter di J.K. Rowling. Sia Lucius che il figlio Draco sono dei Guardiani che devono rendere la vita difficile a Harry Potter e sbarrargli il cammino verso lo scontro finale con Voldemort, ma l’Eroe li sconfigge ben prima di incontrare l’Ombra e in più occasioni. Alla fine quando il vero cattivo, Voldemort, uscirà distrutto dallo scontro con Harry, i Malfoy, padre e figlio, saranno stati solo uno strumento attraverso il quale l’Eroe ha dimostrato il suo valore.
L’Archetipo del Guardiano della Soglia ha un ruolo molto importante per lo sviluppo della personalità dell’Eroe, per la sua crescita e lo sviluppo del tema del Viaggio; un tassello da non sottovalutare.

venerdì 27 aprile 2018

Fantasy a confronto

Si può sostenere che i capisaldi del fantasy moderno siano essenzialmente due opere, differenti tra loro ma simili per molti aspetti. La prima è, ovviamente, “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien. La seconda, invece, “La storia infinita” di Michael Ende. “Il Signore degli Anelli” fu pubblicato in tre volumi tra il 1954 e il 1955 ed è il seguito de “Lo Hobbit”, richiesto a Tolkien dal suo stesso editore. Il romanzo nasce dalla passione dell’autore per la filologia; egli stesso dice nelle sue lettere che inventò i popoli dopo aver inventato la lingua che essi parlavano.
L’importanza per il genere di quest’opera è che essa traccia con precisione le linee in cui ci si deve muovere per costruire il cosiddetto High Fantasy, o Fantasy Classico, nel quale ci sono precisi topoi: una netta dicotomia tra bene e male, e quindi un male rappresentato da un Signore Oscuro, un individuo che incarna la più pura malvagità; una ricerca, la cosiddetta quest; un eroe spesso riluttante; un oggetto magico; un saggio mentore. Di solito l’ambientazione dell’high fantasy è medievaleggiante e la magia ha un ruolo cruciale per la risoluzione del conflitto.
“Il Signore degli Anelli” segue pedissequamente lo schema del Viaggio dell’Eroe di Vogler, di cui ci stiamo occupando in questo blog da varie settimane. Frodo è l’eroe riluttante, Samvise Gangee la spalla, Gandalf il mentore, Sauron l’antagonista per antonomasia e via dicendo. Per alcuni aspetti, l’opera di Tolkien anticipa già la grande differenza che porta “La storia Infinita”.
“La storia Infinita” è un romanzo di Ende del 1979, a cui ha fatto seguito il celeberrimo film di Wolfang Petersen che, tuttavia, snatura di molto il senso della storia.
La differenza più netta con “Il Signore degli Anelli” è ravvisabile in questo: mentre nell’opera di Tolkien il male è rappresentato da un’entità esterna (Sauron) e solo alla fine Frodo ha un piccolo scontro con la sua coscienza, in Ende il vero nemico si nasconde all’interno dei protagonisti stessi. Infatti è contro la propria debolezza che Atreiu, ma ancora di più Bastiano nella seconda parte del romanzo, devono prevalentemente lottare.
Da “La storia Infinita” prende il via il romanzo fantastico di formazione, rivolto prevalentemente ai ragazzi ma perfettamente godibile anche dagli adulti, di cui uno degli esempi di maggiore successo degli ultimi anni è forse proprio la saga di “Harry Potter”. Sebbene nei romanzi della Rowling ci sia un cattivo (Voldemort) in realtà il protagonista dovrà lottare sopratutto contro se stesso nel suo percorso di crescita dall’infanzia all’età adulta.
Da questi due capisaldi il fantasy moderno si è scisso in moltissimi sottogeneri che esamineremo nel prossimo post, tenendo conto che non abbiamo ancora citato, per esempio, Robert E. Howard e i suoi eroi Sword&Sorcery.

venerdì 20 aprile 2018

Lo Shapeshifter, questo sconosciuto

L’Archetipo dello Shapeshifter è il personaggio Mutaforma che nella mitologia greca era inteso in senso letterale: Proteo, Zeus, Atena e altri Dei mutavano spesso le loro sembianze all’interno dei racconti dei miti per trarre in inganno l’Eroe. Nelle favole e nelle legende ritornano ancora personaggi come Merlino, Odino, streghe, maghe e fattucchiere assortite.
Il ruolo di questo Archetipo, pur facendo parte della squadra dei cattivi, non è quello di uccidere l’Eroe, ma metterlo in difficoltà giocando con i suoi sentimenti e illudendo i suoi sensi.
La metafora che si nasconde dietro il Mutaforma/Shapeshifter è quella del personaggio che inganna e confonde l’Eroe ostacolandolo nel suo viaggio per compiere l’impresa.
Nel cinema, lo Shapeshifter è spesso rappresentato dal personaggio della femme fatale, la donna tentatrice che seduce e inganna, tipico dei noir e dei polizieschi; ovviamente questa maschera può essere indossata sia da un personaggio femminile che maschile.
Una Shapeshifter che viene facilmente ricordata è Jessica Rabbit nel film cartone animato “Chi ha incastrato Roger Rabbit”; una donna sexy, provocante, che appare malefica e opportunista ma che in realtà vuole solo salvare il marito di cui è molto innamorata. 
Nella tragedia classica troviamo il personaggio di Jago che è insieme Ombra e Shapeshifter. Egli inganna Otello, lo confonde fingendosi suo amico al solo scopo di distruggerlo e avere Desdemona per sé.
Non mancano gli esempi anche nella letteratura classica, con il personaggio di Salomè di Oscar Wild, e in quella contemporanea: il professor Raptor e Codaliscia, oppure Piton (un cattivo rivelatosi buono) nella saga di “Harry Potter”; il falso Mentore Sir Leigh Teabing de “Il Codice Da Vinci”; Grima Vermilinguo e Gollum de “Il Signore degli Anelli. Insomma, lo Shapeshifter è una maschera che, indossata da qualunque personaggio e magari anche contemporaneamente a un’altra maschera, arricchisce la storia di colpi di scena, aumenta la suspense e dà all’Eroe un’ulteriore occasione di crescita psicologica maturando cambiamenti e nuove strategie, perché si trova costretto a esaminare, riconoscere, gestire e superare l’inganno per giungere vittorioso al compimento dell’impresa.

sabato 14 aprile 2018

Alle origini del fantastico

Quando parliamo di narrativa di genere, forse la prima cosa che viene in mente è il fantastico; questo perché la nostra mente tende a scindere i libri che parlano di cose realistiche da quelli che invece prediligono la più sfrenata fantasia. 
Nel saggio “La letteratura fantastica” Zvetan Todorov sostiene che il fantastico sia la reazione di un individuo che conosce solo le leggi naturali di fronte a un evento in apparenza sovrannaturale. In effetti, se ci si pensa, il fantastico è stato uno dei primi generi letterari mai scritti. 
Si dice che il libro fantasy per eccellenza sia la Bibbia, ma si può partire da molto più lontano, cioè dai miti e le leggende che hanno accompagnato l’umanità sin dalla sua nascita. 
Il primo componimento scritto in tal senso è l’epopea di Gilgamesh, che risale all’incirca al 2500 a.C. Si tratta di un ciclo di poemi epici che narrano delle imprese di un re babilonese in cui intervengono spesso le divinità. 
 Successivi di più di mille anni a Gilgamesh sono i poemi omerici, Illiade e Odissea, a cui fa poi seguito, ovviamente, l’Eneide di Virgilio. 
 Quando il mondo muta e gli antichi dèi pagani vengono sostituiti dal cristianesimo, non scompaiono comunque la superstizione e la necessità di trovare un qualche tipo di spiegazione a fenomeni apparentemente inspiegabili. Ecco che il Medioevo ci restituisce due celebri saghe in cui il fantastico e la magia, uniti ai nuovi principi di cristianità e agli ideali cavallereschi, costituiscono il fulcro della narrazione. Si tratta del ciclo Bretone e del ciclo Carolingio. 
Il ciclo Bretone narra delle gesta di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda, mentre il ciclo Carolingio si concentra sulle gesta dei cavalieri di Carlo Magno impegnati nella lotta contro gli Arabi. Entrambi i cicli traggono origine dal componimenti orali che i bardi si passavano di generazione in generazione, ma è possibile citare alcuni autori che misero le canzoni per iscritto: Goffredo di Monmouth, un monaco del XII secolo, il celeberrimo bardo francese Chrétyen de Troyes e poi, un paio di secoli dopo, l’inglese Thomas Malory. 
L’epica italiana del Rinascimento pesca a piene mani da questi componimenti ed ecco che vengono composti capolavori immortali come “L’Orlando Innamorato” di Boiardo e “L’Orlando Furioso” di Ariosto. 
Bisogna comunque arrivare al XIX° secolo per la nascita del romanzo fantastico come lo intendiamo oggi. 
Si sostiene che il punto d’inizio sia “Frankestein” di Mary Shelley, ma “Frankestein” rientra di più in una sorta di sottogenere che è il Romanzo Gotico. 
Nei prossimi post tracceremo quelli che secondo noi sono i punti cardinali del fantasy, analizzeremo i vari sottogeneri e poi arriveremo a dare una panoramica dello scenario moderno.

venerdì 6 aprile 2018

Che mondo sarebbe senza i cattivi?

Non può esserci un Eroe senza un Cattivo. Non può esserci il Bene senza il Male. Non può esserci atto eroico senza un’azione malvagia da contrastare. Non può esserci una storia senza l’Archetipo dell’Ombra. In ogni buon racconto che si rispetti, il ruolo negativo dell’Ombra è affidato a personaggi definiti cattivi, antagonisti o nemici. C’è differenza tra queste definizioni. Solitamente, i cattivi e i nemici puntano all’annientamento dell’Eroe, alla sua morte. Il Cattivo e l’Eroe si scontrano perché hanno obiettivi opposti in assoluto conflitto; l’Antagonista, invece, può avere lo stesso scopo dell’Eroe ma cerca di raggiungerlo in modo diverso disapprovando quello dell’Eroe. Da un punto di vista psicologico, l’Ombra è il lato oscuro dell’Eroe, quella negativa popolata da paure, sentimenti malvagi ed egoisti (per esempio ne “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” di Robert Louis Balfor Stevenson); per questo la sua presenza è indispensabile. L’Eroe è chiamato, infatti, ad affrontare e sconfiggere il suo lato oscuro, la sua Ombra, tirando fuori il meglio di sé, anche a costo della vita. Solo quando un Cattivo è ben costruito, costringendo l’Eroe a essere all’altezza della sfida, la storia può dirsi veramente valida.
Non bisogna sottovalutare l’errore, che spesso si commette nel caratterizzare l’Ombra, di banalizzare la figura del Cattivo stereotipandola e riducendola a una semplice caricatura. Un Cattivo in quanto tale, solo perché nato così, è poco credibile; adatto magari alle favole per bambini. Un’Ombra ben costruita ha dei lati umani, delle debolezze, che spieghino il perché della sua scelta, del suo voler essere il Cattivo, che è convinto di essere nel giusto; dal suo punto di vista, infatti, è l’Eroe il nemico che vuole impedirgli di conseguire il suo bene, il suo scopo. L’esempio più riuscito di sempre è Dart Fener di Guerre Stellari. Ma ce ne sono molti altri nella letteratura di ogni tempo: Voldemort in “Harry Potter” di J. K. Rowling, O’Brien in “1984” di G. Orwell, Capitan Uncino nella serie di “Peter Pan” di J. M. Barrie, Uriah Heep nel romanzo “David Copperfield” di C. Dickens. Un’Ombra può addirittura riscattarsi e trasformarsi in un personaggio positivo proprio grazie a queste sue debolezze umane: per esempio il personaggio dell’Innominato ne “I Promessi Sposi”. Insomma, lo spessore psicologico dell’Ombra è da costruire tanto quanto quello dell’Eroe, forse anche di più. È l’Ombra il vero motore della storia. Se non ci fosse un Cattivo pronto a compiere un’azione malvagia, un torto da raddrizzare, a che servirebbe avere un Eroe? Cosa ci sarebbe da raccontare senza un equilibrio rotto (da un Cattivo) da ripristinare?
Bisogna ricordare, però, che l’Ombra è una funzione, una maschera, che può essere indossata da qualunque personaggio, per esempio il Mentore: basti pensare a “Il silenzio degli innocenti” di Thomas Harris.
Addirittura, l’Ombra può essere insita nell’Eroe stesso: quando il protagonista è lacerato da dubbi o sensi di colpa e si comporta in maniera autodistruttiva manifestando un desiderio di morte, come per esempio ne “Il ritratto di Dorian Gray” di Oscar Wilde.
L’Ombra, il Male, è insito nell’essere umano tanto quanto il Bene. È la lotta infinita tra queste due forze che l’uomo continua a raccontare da millenni, un modo come un altro per esorcizzare la paura che prima o poi non sia il Bene a trionfare, per spronare e suscitare il coraggio e la forza in nuovi, provvidenziali, Eroi.

To be continued...

domenica 25 marzo 2018

Genere o non genere, questo è il problema!

Prima di addentrarci nell’analisi vera e propria dei generi letterari, bisogna chiarire la distinzione tra quella che viene definita “narrativa letteraria”, o literary ficition per dirla all’anglossassone, e la narrativa di genere. 
Per semplificare molto, “narrativa letteraria” è tutto ciò che non è riconducibile a un genere specifico (stiamo parlando ovviamente di fiction, quindi invenzione. Tutti i libri che trattano di cose accadute davvero sono un’altra storia). 
Il confine tra narrativa letteraria e narrativa di genere in realtà è molto labile, perché è facile che un romanzo abbia in sé elementi che lo tramutino in un genere. Comunque, per avere un’idea, si può pensare a i grandi autori classici della narrativa americana: Steimbeck, Kerouac, Salinger, Fitzgerald, Roth… 
Tutte le loro opere trattano di vari aspetti della loro epoca; storie plausibili che qualunque dei loro contemporanei può aver vissuto. 
I critici però a volte parlano di “narrativa letteraria” per sottolineare un certo valore culturale che, al contrario, la narrativa di genere non avrebbe, in quanto considerata più commerciale e, addirittura, di pura evasione. 
Questa è un’idea che viene contestata dagli stessi scrittori, che ritengono di non sentirsi affatto sminuiti dal fatto di scrivere narrativa di genere. 
L’esempio più recente e lampante è il Premio Nobel per la Letteratura del 2017, Kazuo Ishiguro, che ha tra la sua produzione un romanzo di genere fantasy, “Il gigante sepolto”. 
Nei prossimi appuntamenti parleremo più approfonditamente della narrativa di genere e dimostreremo come in certi casi essa non abbia proprio nulla da invidiare alla narrativa letteraria.

venerdì 16 marzo 2018

Un Mentore per amico

Un Archetipo molto importante nell’economia di una storia è il Mentore.
Questa figura tipicamente positiva ha il compito di guidare, aiutare, istruire e spronare l’Eroe nel suo percorso verso il compimento dell’atto eroico. Il Mentore è il saggio per eccellenza, colui che ha già affrontato e superato il suo percorso da Eroe e, ormai vecchio, istruisce il giovane e inesperto protagonista per affrontare l’impresa. Di esempi nella letteratura, nelle fiabe o nel cinema ce ne sono a iosa: il maestro Yoda in Star Wars, il Grillo Parlante in Pinocchio, la Fata Madrina in Cenerentola, Fra Cristoforo nei Promessi Sposi, et c.
L’Archetipo del Mentore, però, non deve necessariamente rispecchiarsi in un personaggio specifico. Più che una figura narrativa è una funzione, e come tale può essere svolta da vari personaggio della storia in momenti diversi. Allo stesso modo, un personaggio che ha indossato la maschera del Mentore per buona parte della storia può rivelarsi (con un bel colpo di scena) il cattivo della situazione (un falso Mentore, quindi). Un esempio ben riuscito è il personaggio di Sir Leigh Teabing nel famosissimo libro “Il Codice Da Vinci” di Dan Brown, oppure il personaggio di Minuto nel romanzo “Mani Nude” di Paola Barbato.
Può esserci più di un Mentore, diversi personaggi assolvono allo stesso compito in ruoli diversi, per esempio ne “Il mago di Oz”.
Addirittura il personaggio del Mentore può non esserci affatto, è questo il caso in cui il protagonista è guidato da un codice etico e morale (un cavaliere come Don Chisciotte per esempio), oppure dal ricordo della figura genitoriale scomparsa tempo prima. L’importante è che sia presente il “concetto” di una guida da seguire, a prescindere che sia incarnata in un personaggio o meno.
Molto interessante da sviluppare è il rapporto emotivo che si crea tra l’Eroe e il suo Mentore. Per esempio quello tra Harry Potter e Albus Silente, apparentemente sempre molto formale e discreto. Quello tra Gandalf e Frodo, così forte e commovente. Virgilio e Dante, o ancora la pantera Bagheera e il piccolo Mowgli e, ovviamente, Obi-Wan Kenobi e Anakin.
A volte, però, il Mentore può essere deludente. Ovvero, può non avere la forza e il coraggio necessari a sostenere l’Eroe. Questo perché, in realtà, non ha ancora ultimato il suo percorso, non ha superato la prova che, a suo tempo, avrebbe dovuto renderlo un vero Eroe. Magari, sarà proprio grazie a questa debolezza che l’Eroe troverà la forza per fare quel passo in più e trovare la sua strada superando il Mentore, il quale potrebbe a sua volta portare a termine la sua prova e compiere finalmente il percorso interrotto. Non bisogna dimenticare, infatti, che un vero Mentore impara dal proprio allievo tanto quanto questi impara da lui.
To be continued...

martedì 13 marzo 2018

Tempo di Libri 2018. Un tempo bellissimo

Lo scorso weekend siamo state in visita a Tempo di Libri, la fiera dell’editoria di Milano giunta quest’anno alla seconda edizione. 
Siamo abituate a partecipare alle fiere in qualità di autrici; questa volta invece siamo andate in veste di rappresentanti del nostro studio per raccogliere contatti e conoscere gli editori presenti. 
Tempo di Libri si presenta anche quest’anno come una bella vetrina per la grande editoria italiana. Anche grazie alla presenza di tantissimi ospiti, molti internazionali (tra tutti ne citiamo due che amiamo particolarmente, John Grisham e Joe Lansdale), i lettori di ogni tipo sono usciti dalla fiera soddisfatti. Il pubblico era molto più nutrito rispetto alla prima edizione, infatti le file fuori dalle sale incontri erano lunghissime e gli stand molto affollati. 
Sulla nostra Pagina Facebook potrete trovare la diretta integrale dell’interessantissimo incontro con Joe Lansdale, che ha parlato del nuovo libro della serie Harp e Leonard e ha espresso un pensiero molto lucido sull’attuale situazione politica degli Stati Uniti d’America. 
Noi siamo grandi sostenitrici, oltre che della buona scrittura (che ha una dimensione internazionale), anche dell’editoria indipendente, perciò il nostro scopo è stato in primis quello di conoscere i piccoli editori presenti in fiera. La nostra impressione è stata che ce ne fossero pochi, molti meno rispetto allo scorso anno. Tempo di Libri ancora una volta è parsa una fiera pensata dai grandi editori per i grandi editori e di questo, secondo la nostra opinione, c’è da rammaricarsi, perché le piccole realtà editoriali a volte sono quelle in grado di produrre le opere più coraggiose e interessanti. Nonostante ciò, siamo riuscite a conoscere qualche editore da tenere d’occhio e di cui magari parleremo più approfonditamente in futuro. 
Per ora, vogliamo limitarci a dare qualche consiglio agli aspiranti autori per quanto riguarda la partecipazione alle fiere editoriali: 
1. Andateci. Se la vostra intenzione è quella di pubblicare dovete conoscere gli editori e le fiere sono l’occasione migliore per trovarli tutti riuniti in un solo posto. 
2. Prendete visione del catalogo espositori prima di muovervi da casa. Spulciate i siti internet e poi una volta in fiera comprate almeno un libro da quelli che ritenete più interessanti, per accertarvi di persona della qualità della pubblicazione. 
3. Non portatevi il manoscritto da lasciare agli stand. Di solito finisce nel cestino della carta. Piuttosto, fate due chiacchiere con gli editori, chiedeteli del loro catalogo, della loro linea editoriale e poi informatevi se sono disposti a ricevere inediti in valutazione. Far capire a un editore che si desidera pubblicare con lui perché si conosce e si apprezza il suo lavoro è una buona carta da giocarsi. 
4. Partecipate a più incontri possibili. Andate a sentire i grandi scrittori perché possono insegnarvi molto, ma anche gli autori delle case editrici più piccole per capire il loro percorso passato e il vostro possibile percorso futuro. 
5. Procuratevi dell’acqua, indossate scarpe comode e portate con voi una borsa capiente perché non si esce da una fiera senza aver acquistato almeno tre libri.

venerdì 9 marzo 2018

Questione di genere!

Iniziamo oggi un nuovo argomento, che andrà ad alternarsi al tema del Viaggio dell’Eroe. Si tratta della questione, per certi aspetti annosa, dei generi letterari. 
Di per sé, il genere parrebbe essere irrilevante. Quando si scrive un romanzo di solito si ha in mente una storia, punto e basta. L’etichettatura avviene in un secondo momento, quando quella storia bisogna andare a proporla a qualcuno. Che si decida di autopubblicarsi oppure di scegliere un editore, il genere assume subito rilevanza. Sulla piattaforma di self publishing prescelta bisognerà selezionare la categoria all’interno della quale inserire il proprio testo, mentre se ci si rivolge a un editore il genere serve innanzitutto per selezionarlo (non manderemo mai un thriller a chi pubblica solo fantasy, o un romanzo di formazione a chi fa libri di ricette!), e in secondo luogo per dare una prima indicazione all’editore della categoria in cui potrebbe essere inserito il nostro libro. 
Nella nostra rubrica esamineremo i vari generi in modo da rendere più semplice orientarsi agli autori, considerando anche che sempre più frequenti in narrativa sono le contaminazioni di genere. 
Per oggi, vi lasciamo con una piccola infografica sulla cosiddetta “narrativa di genere”, che si contrappone a quella che gli inglesi chiamano literary fiction , cioè la narrativa non di genere. 


venerdì 2 marzo 2018

Un vero Eroe è per sempre

Un vero Eroe lo riconosci subito. È quello in cui ti identifichi, ti rispecchi; quello che ammiri per le sue qualità e di cui condividi gli scopi. E poi è quello che compie l’azione decisiva, l’atto eroico che risolve la situazione, che scioglie il nodo narrativo. La figura dell’eroe, affinché il lettore possa identificarvisi, deve avere delle caratteristiche universali, facilmente riconoscibili, e qualità ammirevoli; tuttavia non può essere esente dall’avere dei difetti, altrimenti non è credibile.
Se l’Eroe fosse perfetto, come farebbe a compiere il viaggio verso la crescita morale? Come imparerebbe a essere un uomo/donna migliore attraverso l’esperienza vissuta e l’interazione con gli altri personaggi? Se fosse già perfetto sarebbe una caricatura, uno stereotipo, e il lettore avrebbe ben poca voglia di immedesimarsi in lui.
A prescindere dal carattere, o dai difetti, la qualità peculiare, immancabile, dell’Eroe è lo spirito del sacrificio. Un vero Eroe deve affrontare il suo viaggio consapevole del pericolo, deve essere pronto a sacrificarsi (perdendo anche la vita se necessario) per compiere la sua missione, che ha sempre un fine lodevole e ben chiaro per il lettore.
L’Antieroe, di cui tanto si sente parlare, non è l’antagonista, ma un tipo particolare di Eroe. Nel teatro classico è molto comune la figura dell’Eroe tragico, un esempio per tutti è il “Macbeth” di W. Shakespeare. Qui l’Eroe/protagonista agisce per il proprio interesse ed è disposto a tutto (omicidi e tradimenti la fanno da padrone) per diventare re indiscusso e assicurarsi un potere incontrastato. L’Antieroe può, quindi, essere anche cattivo e compiere azioni malvagie pur di raggiungere il proprio obiettivo, ma il pubblico sente comunque il desiderio di seguire le sue vicende e immedesimarsi in lui.
Un secondo esempio di Antieroe è l’Eroe cinico, quello che si comporta da ribelle, da anticonformista, pur restando vicino alla figura convenzionale di Eroe. Infatti, è un personaggio che agisce nel giusto, ma lo fa ai margini della società, e il suo comportamento fuori dagli schemi spesso nasconde una ferita del passato ancora aperta nel suo animo. Un esempio di questo tipo di Antieroe è il protagonista de “Il giovane Holden” di J.D. Salinger.
Un’altra “sfumatura” di Eroe è quella del Catalizzatore; ovvero un personaggio che si comporta da Eroe ma non subisce una crescita o un’evoluzione, bensì la innesca negli altri personaggi o nelle situazioni, forse, in effetti, è più vicina alla figura del Mentore che a quella dell’Eroe in senso stretto.

To be continued…

venerdì 23 febbraio 2018

Un Eroe in viaggio da 2000 anni

Vi siete mai chiesti come mai i film del vecchio zio Walt sbancano sempre i botteghini? E come mai piacciono molto anche ai grandi? Che cosa accomuna i best seller della letteratura mondiale di tutti i tempi? Che cosa accomuna Omèro con Dan Brown, passando per Alessandro Manzoni e finendo con J. R. R. Tolkien? La risposta è più semplice di quanto possiate immaginare: il viaggio.
Non un viaggio qualunque, bensì quello compiuto da un Eroe, il protagonista con cui il lettore immancabilmente finisce con l’identificarsi. Che sia la fuga di un re da una città in fiamme nel tentativo di tornare a casa dalla propria amata, o le disavventure di due giovani sposi che lottano contro i soprusi di un potente, o un gruppo di omini che partono per una missione impossibile per fermare uno spirito malvagio e potentissimo che vuole conquistare il mondo e soggiogarne tutti gli abitanti, il trucco è sempre lo stesso.
Una missione da compiere, un torto da raddrizzare, un innocente da salvare e una persona coraggiosa e altruista (l’Eroe) pronta ad affrontare mille peripezie (il viaggio) magari disposta a sacrificarsi fino a rischiare la vita (per mano del cattivo) per un nobile scopo; ma alla fine, quando tutto sembra ormai perduto (nel momento dell’apice della tensione narrativa: il climax), un gesto eroico e grandioso (la prova dell’Eroe) farà trionfare il bene (obiettivo ultimo della missione). Questo è quello che gli scrittori di successo raccontano e che il pubblico legge da più di 2000 anni; e continua a funzionare egregiamente!
Vi state chiedendo il perché? Anche a questa domanda c’è una risposta semplice.
Un buon racconto, uno che piace e permette al lettore di appassionarsi alla storia, non è altro che una metafora della condizione umana: affrontare le difficoltà e le prove che la vita ci presenta (soprattutto le ingiustizie dei cattivi) per diventare persone migliori, cresciute, ovvero dei vincitori. Ciò che rende una storia effettivamente accattivante, però, è il viaggio dentro l’Eroe; ovvero un percorso interiore che lo porterà a diventare un uomo/donna migliore di quello che era all’inizio dell’avventura narrata, che lo farà apparire agli occhi del lettore come un vero Eroe.
Ci avevate fatto caso?
Ma l’Eroe non agisce da solo, accanto a lui si muovono numerose figure: il Mentore (un amico saggio che guida o aiuta l’Eroe a compiere la missione), l’Ombra (il cattivo che vuole fermarlo/ucciderlo), il Guardiano della soglia (il braccio destro del cattivo), e molti altri personaggi chiamati Archetipi.

To be continued…

venerdì 2 febbraio 2018

L'importanza delle storie. Valentina si presenta

La scrittura è iniziata molti anni fa; direi più o meno alle medie, quel periodo in cui andavo in giro con i libri di Stephen King nello zaino e i miei compagni mi prendevano per pazza. Prima, però, ci sono state le storie. C’è molta verità in ciò che si dice, cioè il fatto che chi legge vive mille vite diverse. Trovo molta felicità nel poter passare nella stessa giornata dalla mia quotidianità in un paesello di provincia a un’avventura mozzafiato in un paese esotico e poi a una struggente vicenda d’amore. È come avere a disposizione una macchina che viaggia nel tempo e nello spazio efficace quanto quella che ha la forma di una cabina blu. Nel tempo ho iniziato a capire che certe storie, quelle che amavo di più, potevo metterle su carta. Così ha preso forma la magia della scrittura; all’inizio era un gioco, poi è diventata passione, studio e impegno. Gli studi giuridici, tra le molte cose, mi hanno aiutato a comprendere l’importanza della parola e a inventare mondi più solidi. I corsi di scrittura creativa e di redazione editoriale mi hanno insegnato come dar forma nel modo migliore al caos delle idee. Il panorama editoriale del nostro Paese è difficile; i grandi editori sono come dei Leviatani che inglobano il sottomondo dei piccoli editori. Sottomondo che, nonostante ciò, è vitale e sgomita per emergere. Dopo aver letto manoscritti per gli editori e aver accumulato una certa esperienza nell’editing degli esordienti posso affermare con certezza che là fuori è pieno di talenti. Scovarli e aiutarli a farsi strada è un grande piacere, perché tutte le storie meritano la possibilità di venire alla luce.

giovedì 1 febbraio 2018

Come tutto ebbe inizio. Confessioni di una editor

Settembre 2007. Me lo ricordo ancora. Ero seduta in una grande aula all’interno del Centro di Formazione Padre Piamarta che ospita la scuola di editoria a Milano e, insieme a una cinquantina di ragazzi e ragazze freschi di laurea, stavo sostenendo la prova di ammissione al corso di Tecniche di Redazione Specialistica. Dopo aver consegnato i fogli del test continuavo a ripetermi: speriamo che mi prendano, speriamo che mi prendano! Una ventina di giorni dopo ero seduta alla mia postazione multimediale per iniziare le 650 ore di corso che mi avrebbero tenuta occupata a tempo pieno fino all’estate. Sì, mi avevano presa.
In dieci anni ne ho fatte di cose: la web content editor per un portale per studenti, la catalogatrice di libri per il più grosso distributore italiano, la redattrice per una casa editrice medico scientifica, l’editor per gli esordienti di una collana di narrativa, ho scritto due manuali divulgativi e recentemente mi è capitato di scrivere dei testi per il teatro per una collega dei tempi dell’università. Il filo conduttore di questi dieci anni è ciò che più mi realizza a livello professionale e che più mi diverte fare: lavorare sul testo.
Da bambina mi divertivo a scrivere semplici poesie e brevi racconti, inventare storie. Era il mio passatempo, il mio gioco preferito, la sorpresa è stata riscoprirlo da adulta come lavoro; e qui la passione non è bastata più. È iniziato un lungo percorso (che non è ancora finito e mai finirà) di studio, documentazione, esercizio, formazione, crescita, umiltà. Da grande scopri che non basta avere una bella storia in testa, bisogna anche saperla raccontare.
Credo che uno scrittore debba essere pienamente inserito nella realtà contemporanea e raccontarla attraverso i proprio occhi, il proprio vissuto. A prescindere dal genere da cui trae ispirazione, uno scrittore può parlare di problemi sociali attraverso un Fantasy, o del suo pensiero politico con un romanzo storico. Quando il tema è universale e ognuno di noi può identificarsi nel protagonista e nelle vicende raccontate, allora lo scrittore ha centrato l’obiettivo. Il tutto, ovviamente, senza annoiare il lettore!

sabato 27 gennaio 2018

L'albero della grammatica

L’albero della Grammatica è uno studio editoriale che si prefigge lo scopo di supportare e affiancare gli autori nell’emozionante esperienza della scrittura, creativa e non.
Presto ci troverete on-line e operative!
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